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03/2011

NEWS

Non esistono sindacati di "serie b"

Le sezioni unite, con la decisione n. 28269 del dicembre 2005, hanno risolto la divergenza
di orientamenti sul tema della trattenuta dei contributi sindacali per le OO.SS. non
firmatarie dei contratti collettivi applicati in azienda, legittimando – secondo il prevalente
orientamento – il ricorso da parte degli iscritti alla “cessione di credito” ex art. 1260 c.c., in
base alla quale il datore di lavoro dovrà provvedere alle ritenute sulle retribuzioni da
versare alle OO.SS.a titolo di contributo associativo dell’iscritto.
di Mario Meucci – giuslavorista in Roma
1. La decisione delle sezioni unite n. 28269 del 21 dicembre 2005
Il contenzioso di merito degli anni 97-98 sulle trattenute per i contributi sindacali da
destinare alle OO.SS. non firmatarie dei contratti collettivi applicati in azienda – dopo
essere approdato in Cassazione per il tramite delle sentenze n. 1968 e n. 3917 del 3 e 26
febbraio 2004, nonché n.10616/2004 e n.14032 del 26 luglio 2004 di segno conforme alla
n. 3917 – è stato a suo tempo assegnato alle sezioni unite in ragione di un contrasto
interno alla sezione lavoro della S.C. . La prima decisione n. 1968/2004 (rel. Balletti) –
unitamente alla successiva n. 10616/2004 - infatti aveva finito per ritenere inadeguata,
senza il consenso datoriale, la cessione ex art. 1260 c.c. del credito del lavoratore a favore
del sindacato a fini di contribuzione associativa, mentre le n. 3917 e 14032/2004 avevano
raggiunto conclusioni opposte, con la conseguenza che il rifiuto datoriale di effettuare la
trattenuta sulla retribuzione concretizzava, anche senza l?accordo datoriale,
comportamento antisindacale. Sulla stessa falsariga la prevalente giurisprudenza di merito
(per tutte vedasi Trib. Milano 3 febbraio 2004) secondo la quale: ««E’ legittima – e
costituisce condotta antisindacale il diniego datoriale al riguardo – la richiesta del
lavoratore di cedere con delega (contenente in fattispecie anche facoltà di revoca) al
proprio sindacato una quota di retribuzione a titolo di contributo sindacale di affiliazione.
Osserva infatti il giudicante a fronte delle eccezioni datoriali: perché non dovrebbe essere
consentito al sindacato, ente portatore di valori ritenuti dal Costituente e dal legislatore
meritevoli di speciale tutela, di ottenere ciò che una qualunque società finanziaria
automaticamente ottiene? E perché il cittadino lavoratore potrebbe cedere parte del suo
salario a tutti ma non ad una organizzazione sindacale, subendo così una riduzione dei suoi
diritti civili senza ben pregnanti ragioni e anzi venendo limitato proprio nell'esercizio del
suo diritto di sostenere nel modo ritenuto più opportuno il sindacato di sua fiducia soltanto
perché lo stesso non ha stipulato contratti collettivi? Quest'ultima condizione discriminante,
se può giustificare un trattamento preferenziale dei sindacati stipulanti sul piano dei diritti
strettamente sindacali, in nessun modo può rilevare nel rapporto lavoratore-sindacato da
un lato e nello status del cittadino lavoratore dall'altro, entrambi regolati dalle norme del
diritto civile».
Le sezioni unite, nella recentissima sentenza n. 28269 (rel. Picone) del 21 dicembre 2005
hanno confermato la validità di queste conclusioni, attraverso la seguente massima da noi
redatta, che così dispone: « L’abrogazione referendaria dell'art. 26, commi 2 e 3, Statuto
dei lavoratori, non ha certo determinato un "vuoto" nella regolamentazione della materia,
ma - come precisato dalla Corte costituzionale in relazione all'intento dei promotori
(sentenza 13/1995)- ha "restituito" all'autonomia contrattuale la materia già disciplinata
dalla legge in termini di prestazione imposta al datore di lavoro, cosicché resta
ammissibile, senza limitazioni, il ricorso a tutti i possibili strumenti negoziali che
consentono di realizzare lo scopo di versare ai sindacati la quota associativa mediante
ritenuta sulla retribuzione, altrimenti si attribuirebbero all'istituto del referendum non i soli
effetti abrogativi che gli sono propri, ma anche effetti propositivi. E’ del tutto errato,
pertanto, ritenere – come ha fatto la difesa dell’azienda - che l'esito referendario abbia
introdotto nell'ordinamento il principio inderogabile del divieto di realizzare il risultato di
imporre al datore di lavoro, senza il suo consenso, di versare al sindacato quote della
retribuzione. Si è già detto come sia del tutto arbitrario desumere un tale principio
dall'effetto abrogativo del referendum, limitato alla soppressione di un obbligo ex lege, senza interferire minimamente sull'apparato degli strumenti negoziali a disposizione di tutti
i soggetti dell'ordinamento. Scomparso l'obbligo legale, tutti gli strumenti negoziali
possono essere impiegati per realizzare risultati, non certo identici o analoghi, ma, al più,
equivalenti. E ciò stabilito, l'inadempimento del datore di lavoro che incide sull'attività
sindacale in senso proprio concreta in tutti i casi condotta antisindacale, senza che possa in
alcun modo rilevare la fonte dell'obbligo medesimo. Va aggiunto che il referendum ha
lasciato in vigore il primo comma dell'art. 26 Statuto dei lavoratori, che protegge i diritti
individuali dei lavoratori concernenti l'attività sindacale per quanto attiene, in particolare,
alla raccolta dei contributi: stipulare con il sindacato i contratti di cessione di quote della
retribuzione costituisce una modalità di esercizio dei detti diritti; il rifiuto del datore di
lavoro di darvi corso, lungi dal concretare un mero illecito civilistico, opera una
compressione dei diritti individuali e di quelli del sindacato. Ne consegue che il rifiuto
ingiustificato del datore di lavoro di eseguire i pagamenti configura un inadempimento che,
oltre a rilevare sotto il profilo civilistico, costituisce anche condotta antisindacale, in quanto
oggettivamente idonea a limitare l'esercizio dell'attività e dell'iniziativa sindacale. L'effetto
del rifiuto è quello di privare i sindacati che non hanno stipulato i contratti collettivi della
possibilità di percepire con regolarità la fonte primaria di sostentamento per lo svolgimento
della loro attività e di porli in una situazione di debolezza, non solo nei confronti del datore
di lavoro, ma anche delle altre organizzazione sindacali con cui sono in concorrenza».
Non possiamo che salutare con soddisfazione la conferma dell?orientamento prevalente,
giacché anche noi – in diverse sedi – avevamo sostenuto la legittimità di esercizio del
diritto di cui al vecchio 1° comma dell?art. 26 Stat. lav. (nel testo emendato dal
referendum abrogativo del „95), secondo il quale sussiste in capo ai lavoratori il diritto di
“raccogliere contributi” per le loro OO.SS. e quello correlato di effettuare versamenti al
sindacato da essi prescelto secondo le proprie, libere, convinzioni ideologico-sociali –
quantunque senza la cooperazione obbligata datoriale introdotta negli anni ?70 dagli
abrogati commi 2 e 3 dell?art. 26 Stat. lav. - a precindere se sia firmatario o meno dei
contratti di lavoro applicati dall?azienda, che è invece requisito selettivo per il diverso
diritto di costituzione delle RSA, ex art. 19 Stat. lav.
Conviene, per riepilogo e per favorire la comprensione della tematica al lettore, entrare più
approfonditamente nel merito della questione e tracciare anche un excursus storico della
problematica che ha trovato, per il tramite delle sezioni unite, la sua conclusione.


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