Non esistono sindacati di "serie b"
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Le sezioni unite, con la decisione n. 28269 del dicembre 2005, hanno risolto la divergenza di orientamenti sul tema della trattenuta dei contributi sindacali per le OO.SS. non firmatarie dei contratti collettivi applicati in azienda, legittimando – secondo il prevalente
orientamento – il ricorso da parte degli iscritti alla “cessione di credito” ex art. 1260 c.c., in base alla quale il datore di lavoro dovrà provvedere alle ritenute sulle retribuzioni da versare alle OO.SS.a titolo di contributo associativo dell’iscritto. di Mario Meucci – giuslavorista in Roma 1.
La decisione delle sezioni unite n. 28269 del 21 dicembre 2005 Il contenzioso di merito degli anni 97-98 sulle trattenute per i contributi sindacali da destinare alle OO.SS. non firmatarie dei contratti collettivi applicati in azienda – dopo essere approdato in Cassazione per il tramite delle sentenze n. 1968 e n. 3917 del 3 e 26 febbraio 2004, nonché n.10616/2004 e n.14032 del 26 luglio 2004 di segno conforme alla n. 3917 – è stato a suo tempo assegnato alle sezioni unite in ragione di un contrasto interno alla sezione lavoro della S.C. . La prima decisione n. 1968/2004 (rel. Balletti) – unitamente alla successiva n. 10616/2004 - infatti aveva finito per ritenere inadeguata, senza il consenso datoriale, la cessione ex art. 1260 c.c. del credito del lavoratore a favore del sindacato a fini di contribuzione associativa, mentre le n. 3917 e 14032/2004 avevano raggiunto conclusioni opposte, con la conseguenza che il rifiuto datoriale di effettuare la trattenuta sulla retribuzione concretizzava, anche senza l?accordo datoriale, comportamento antisindacale. Sulla stessa falsariga la prevalente giurisprudenza di merito (per tutte vedasi Trib. Milano 3 febbraio 2004) secondo la quale: ««E’ legittima – e costituisce condotta antisindacale il diniego datoriale al riguardo – la richiesta del lavoratore di cedere con delega (contenente in fattispecie anche facoltà di revoca) al proprio sindacato una quota di retribuzione a titolo di contributo sindacale di affiliazione.
Osserva infatti il giudicante a fronte delle eccezioni datoriali: perché non dovrebbe essere consentito al sindacato, ente portatore di valori ritenuti dal Costituente e dal legislatore meritevoli di speciale tutela, di ottenere ciò che una qualunque società finanziaria automaticamente ottiene? E perché il cittadino lavoratore potrebbe cedere parte del suo salario a tutti ma non ad una organizzazione sindacale, subendo così una riduzione dei suoi diritti civili senza ben pregnanti ragioni e anzi venendo limitato proprio nell'esercizio del suo diritto di sostenere nel modo ritenuto più opportuno il sindacato di sua fiducia soltanto perché lo stesso non ha stipulato contratti collettivi? Quest'ultima condizione discriminante, se può giustificare un trattamento preferenziale dei sindacati stipulanti sul piano dei diritti strettamente sindacali, in nessun modo può rilevare nel rapporto lavoratore-sindacato da un lato e nello status del cittadino lavoratore dall'altro, entrambi regolati dalle norme del diritto civile».
Le sezioni unite, nella recentissima sentenza n. 28269 (rel. Picone) del 21 dicembre 2005 hanno confermato la validità di queste conclusioni, attraverso la seguente massima da noi redatta, che così dispone: « L’abrogazione referendaria dell'art. 26, commi 2 e 3, Statuto dei lavoratori, non ha certo determinato un "vuoto" nella regolamentazione della materia, ma - come precisato dalla Corte costituzionale in relazione all'intento dei promotori (sentenza 13/1995)- ha "restituito" all'autonomia contrattuale la materia già disciplinata dalla legge in termini di prestazione imposta al datore di lavoro, cosicché resta ammissibile, senza limitazioni, il ricorso a tutti i possibili strumenti negoziali che
consentono di realizzare lo scopo di versare ai sindacati la quota associativa mediante ritenuta sulla retribuzione, altrimenti si attribuirebbero all'istituto del referendum non i soli effetti abrogativi che gli sono propri, ma anche effetti propositivi. E’ del tutto errato, pertanto, ritenere – come ha fatto la difesa dell’azienda - che l'esito referendario abbia introdotto nell'ordinamento il principio inderogabile del divieto di realizzare il risultato di imporre al datore di lavoro, senza il suo consenso, di versare al sindacato quote della retribuzione. Si è già detto come sia del tutto arbitrario desumere un tale principio dall'effetto abrogativo del referendum, limitato alla soppressione di un obbligo ex lege, senza interferire minimamente sull'apparato degli strumenti negoziali a disposizione di tutti i soggetti dell'ordinamento. Scomparso l'obbligo legale, tutti gli strumenti negoziali possono essere impiegati per realizzare risultati, non certo identici o analoghi, ma, al più, equivalenti. E ciò stabilito, l'inadempimento del datore di lavoro che incide sull'attività sindacale in senso proprio concreta in tutti i casi condotta antisindacale, senza che possa in alcun modo rilevare la fonte dell'obbligo medesimo. Va aggiunto che il referendum ha lasciato in vigore il primo comma dell'art. 26 Statuto dei lavoratori, che protegge i diritti individuali dei lavoratori concernenti l'attività sindacale per quanto attiene, in particolare, alla raccolta dei contributi: stipulare con il sindacato i contratti di cessione di quote della retribuzione costituisce una modalità di esercizio dei detti diritti; il rifiuto del datore di lavoro di darvi corso, lungi dal concretare un mero illecito civilistico, opera una compressione dei diritti individuali e di quelli del sindacato. Ne consegue che il rifiuto ingiustificato del datore di lavoro di eseguire i pagamenti configura un inadempimento che,
oltre a rilevare sotto il profilo civilistico, costituisce anche condotta antisindacale, in quanto oggettivamente idonea a limitare l'esercizio dell'attività e dell'iniziativa sindacale. L'effetto del rifiuto è quello di privare i sindacati che non hanno stipulato i contratti collettivi della possibilità di percepire con regolarità la fonte primaria di sostentamento per lo svolgimento della loro attività e di porli in una situazione di debolezza, non solo nei confronti del datore di lavoro, ma anche delle altre organizzazione sindacali con cui sono in concorrenza».
Non possiamo che salutare con soddisfazione la conferma dell?orientamento prevalente, giacché anche noi – in diverse sedi – avevamo sostenuto la legittimità di esercizio del diritto di cui al vecchio 1° comma dell?art. 26 Stat. lav. (nel testo emendato dal referendum abrogativo del „95), secondo il quale sussiste in capo ai lavoratori il diritto di “raccogliere contributi” per le loro OO.SS. e quello correlato di effettuare versamenti al sindacato da essi prescelto secondo le proprie, libere, convinzioni ideologico-sociali – quantunque senza la cooperazione obbligata datoriale introdotta negli anni ?70 dagli abrogati commi 2 e 3 dell?art. 26 Stat. lav. - a precindere se sia firmatario o meno dei
contratti di lavoro applicati dall?azienda, che è invece requisito selettivo per il diverso diritto di costituzione delle RSA, ex art. 19 Stat. lav.
Conviene, per riepilogo e per favorire la comprensione della tematica al lettore, entrare più approfonditamente nel merito della questione e tracciare anche un excursus storico della problematica che ha trovato, per il tramite delle sezioni unite, la sua conclusione.